Molti mi chiedono come faccio, come ho fatto: " ma come hai fatto ad affrontare tutto e sorridere?" "Come hai fatto a non crollare?".
Da queste domande ho cercato di riflettere e capire cosa mi ha permesso di affrontare il dolore in modo diverso da molti altri. Dico in modo diverso perché la sofferenza c'è, ma è il modo di gestirla che ci rende persone serene o infelici.
1. La cosa principale è concentrarsi sul presente. Non rimuginare su quello che è stato e neanche preoccuparsi troppo per il futuro. Lo so, è una banalità, ma davvero poche persone lo sanno fare seriamente. Molti si trovano a cena con amici e pensano al problema di lavoro che li aspetta il giorno dopo, oppure all'occasione mancata della settimana prima. Il risultato: si lamentano, non riescono a divertirsi e rovinano la serata a sè e agli altri.
2. Concentrarsi sul presente non vuol dire smettere di piangere per una mancanza o un dolore grande come il mio. Mentirei se dicessi che non piango più per Giuseppe o non mi manchi. Manca enormemente. Ma cerco, e mi impegno molto perché la vita è una e va goduta e vissuta la meglio, di ricordare ma non vivere nel ricordo. E lo so, vi direte: ma sei scema? È uguale! In realtà no, non lo è. Ricordare vuol dire avere un momento in cui ricordi e rivivi le emozioni che il ricordo di suscita... Le vivi tutte, le lasci sfogare, che sia gioia o pianto, le vivi per il tempo del ricordo, poi torni a vivere il presente, archiviando quelle emozioni, almeno fino al ricordo successivo. Vivere nel ricordo, invece, vuol dire vivere girandoti il coltello nella piaga, quasi crogiolandoti nel dolore che ciò che era passato e non c'è più ti provoca. Vivere in una malinconia perenne. Chi vive così non può gioire perché vorrebbe dire tradire il passato, tradire le apparenze che ti vorrebbero tapina e sofferente. Ora, non è facile per me farlo, ma ogni giorno cerco di darmi un tempo massimo per piangere e poi torno a vivere (bugia... Non piango ogni giorno). Ogni cosa in casa e in giro (soprattutto in questo tempo di trebbiature) mi ricorda Giuseppe, posso piangere o coglierne la presenza, gioire di quel momento. Solitamente lo ricordo, sospiro e continuo a vivere, perché così avrebbe fatto lui. Altre volte piango.. Ma mai troppo a lungo.
3. Credo che per essere felici si debba uscire dal ragionamento "mai una gioia", come se tutto ciò che viviamo sia in assoluto terribile e brutto. In realtà nel mondo c'è sempre qualcuno che ha vissuto qualcosa di più terribile di noi. Rendercene conto forse ci aiuta a non lamentarci troppo e ad essere più positivi.
4. Guardiamo a ciò che abbiamo e non a ciò che ci manca o abbiamo perso. Se ci concentriamo su quello che abbiamo iniziando ad apprezzarlo, la vita è più bella. Ogni volta che perdiamo una cosa o un progetto va in fumo, abbiamo due possibili reazioni: continuare a insistere e a lamentarci, oppure digerire la cosa e andare avanti, quel fallimento o quella perdita possono essere manna dal cielo se sappiamo guardarli nel modo giusto.
5. Rendiamoci conto che non possiamo avere tutto. Nessuno ha tutto ciò che vuole. NESSUNO! Quello che però fa una persona felice o meno è proprio il modo di vedere ciò che ha o non ha. Io sono un insegnante. Sono precaria e probabilmente non sarò mai di ruolo. Mi divido su tre scuole e ho una marea di classi con rispettivi problemi e riunioni. Vorrei il posto fisso, in una scuola sola, magari a due passi da casa per andarci a piedi. Essendo una persona fondamentalmente positiva, io sono ben contenta del lavoro che faccio, ovviamente ogni possibile miglioramento lo colgo e ringrazio il cielo di lavorare, dato i tempi che corrono. Una persona negativa, se anche ottenesse il ruolo, troverebbe subito di che lamentarsi di nuovo: gli alunni, i genitori, le riunioni, la distanza.
Insomma, non è cosa viviamo, ma come lo viviamo che ci rende persone felici o tristi.
Quello che il mio dolore ha cambiato è la mia sopportazione delle persone negative: detesto chi si lamenta a sproposito! (Nel caso non lo aveste ancora capito...😉).
6. Quando ho perso Giuseppe, la sensazione di aver perso tutto ciò che dava senso alla mia vita, io l'ho avuta, e l'ho avuta bella forte perché fin da adolescente io sognavo una famiglia, non sapevo che lavoro avrei fatto, ma sapevo che avrei avuto dei figli e che il dolore più grande sarebbe stato perderli. Con questa consapevolezza ho costruito la mia vita e ho fatto le mie scelte in funzione della futura famiglia. Quando Giuseppe è morto ovviamente mi sono sentita fallita... Come se tutto ciò che avevo fatto fosse stato inutile, come se la mia vita non avesse più senso. Ho dovuto ricostruirmi. Ho scoperto che per essere felici bisogna regalarsi dei momenti di piacere. Ognuno ha i suoi, io avevo gli aperitivi con l'amica, la corsa, anche il lavoro era per me importante. Dedicarsi a cose che ci fanno star bene e ci sollevano la giornata è un toccasana per la felicità.
7. Dare senso alla nostra vita. Il senso che vogliamo noi. Come ho detto al punto 6, il mio senso era la famiglia su cui avevo costruito la mia vita. Con la morte di Giuseppe mi sono smarrita e ho dovuto ricostruire un senso... Il mio senso oggi è sicuramente la mia bambina, ma non nego che, se con Giuseppe avevo trascurato il punto 6, con Marianna non ho intenzione di farlo. Non perché le voglia meno bene, ma perché è giusto così. Con Giuseppe, per via della malattia, ho dovuto un po annullarmi, e lo rifarei se ci fosse bisogno, ma nessuna persona deve annullarsi per un'altra in una situazione normale. Perché la vita è una! Abbiamo i doveri, prima viene certamente il ruolo di madre, ma non vuol dire che io sia solo quello. Perché un bel giorno i figli vanno per la loro strada e la nostra esistenza deve avere un senso a prescindere da loro.
8. Circondarsi di persone positive. Nella mia vita ho avuto una grande fortuna: parenti e amici molto positivi che ci hanno sostenuto e che saremo pronti a sostenere se avessero bisogno di noi. Tenere lontano i negativi è fondamentale per essere felici, soprattutto quando la tua felicità è precaria come la mia... Persone sbagliate possono farti sprofondare nell'abisso. Allora meglio evitarle. E se sono parenti e non si possono escludere del tutto dalla propria vita, meglio rinunciare a cambiarle e limitare le visite a quando si è forti per sopportare la negatività e la pesantezza.
9. Non pensare a quello che vogliono o pensano gli altri. Non che si debbano calpestare le persone, però se cerchiamo di accontentare tutti, o ci preoccupiamo di cosa la gente pensa, rischiamo di fare cose che ci fanno star male, vivere ansie inutili, portare maschere che poi non riusciremo più a togliere. Ovviamente dobbiamo anche distinguere tra "la gente" e le persone che davvero ci amano, quelle del punto 8 per intenderci, quelle che vogliono il nostro bene. "La gente" va ignorata, chi ci ama va rispettato e ascoltato... Poi decidiamo per il meglio. Chi ci ama sa e non ha bisogno di spigazioni.
10. Accettare gli altri per quello che sono e non volerli cambiare, semmai cambiare il nostro modo di interagire con loro. Ecco su questo punto ho parecchio ancora da lavorare. È una cosa che ho imparato a mia volta da un'amica. Mi ha fatto comprendere che a volte è il nostro modo di porci che non porta a nulla. A volte otteniamo di più tacendo, altre parlando pacatamente. Oppure sono battaglie perse e sprecarci energia da male solo a noi. Sicuramente gli altri non cambiano, possiamo scontrarci, arrabbiarci, o decidere di cambiare qualcosa noi per migliorare e ottenere il meglio da quel rapporto (un po' lo stesso discorso delle situazioni della vita... Dipende da noi).
Credo che tutte queste cose possano aiutare a vivere felici. Sicuramente la felicità non è esterna a noi. Noi decidiamo con che sguardo vedere la vita, e, paradossalmente, chi ha sofferto molto è più felice. Questo perché conosce il valore della vita e non vuole sprecarla a piangere. La sofferenza per me è sempre lì, dietro all'angolo, pronta a fare capolino. In alcuni frangenti sono più sensibile e ho emozioni che mi scombussolano, ma le incontro, le saluto, le vivo, le attraverso e poi torno a gioire della vita che ho. Una volta allo psicologo che mi segue dissi: "non voglio fare come mia nonna che piangeva la sua Aurora tutti i giorni" (Aurora morì a 5 anni per leucemia). E per ora ci riesco. So di essere vulnerabile più di altri, ma anche estremamente forte, e là, dove la vita mi metterà alla prova, soffrirò, attraverserò la tempesta assaporando tutto perché tutto è vita. E anche nel dolore saprò essere felice, come lo siamo stati durante la malattia di Giuseppe. Dolore e felicità non si escludono. Sono due facce della vita, sta a noi decidere quale guardare di più.
Io voglio gioire!
Tu non hai idea di quanto ti ammiri... 🎈
RispondiEliminaProprio per rispetto di quanto amava e sorrideva alla vita Giuseppe bisognerebbe cercare di star su e vivere al meglio più che si può. A volte a Manuel che si lamenta x sciocchezze o sbuffa nel fare i compiti, non so se faccio bene, ma gli ricordo di quanto dovrebbe esser felice! A volte lo diamo per scontato ma dovremmo ricordare a tutti quanto si potrebbe essere felici. Naturalmente nulla è così facile. Ma vale la pena sorridere..male nn fa.
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RispondiEliminaGrazie Francesca, grazie per aver voluto condividere una sofferenza così grande, ma ancora grazie per tutti i grandi punti di riflessione per i quali davvero credo sia fondamentale partire dal nostro atteggiamento verso la vita. Un'esistenza unica tutta da vivere, nei suoi momenti meravigliosi e nei suoi momenti più difficili. Io 5 anni fa ho perso mio padre ed oggi sono felice di portarlo con me in tutto ciò che sono e in tutto cio che faccio. Ed é bellissimo sapere che lui é proprio dentro di me e nn potrá mai lasciarmi☺ buona vita Francesca a te e a tutta la tua famiglia
RispondiEliminaGrazie Daniela. Buona Vita anche a te!
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