Sta mattina ho partecipato a un incontro per prof. Si parlava del rischio educativo e del fatto che sempre più i nostri ragazzi abbiano bisogno di psicologi (e non solo loro). Sempre più i nostri ragazzi si perdono. Ma perché?
Intanto dico subito che non ho nulla contro la psicologia, vado regolarmente anche io da uno psicologo, affrontare un lutto come il mio non è semplice.
Credo però che sia colpa nostra se loro si perdono. Colpa di noi adulti, in primis dei genitori.
Smettiamola di trovare alibi. Non basta amare un figlio perché cresca bene. Ci vuole di più. Bisogna fare il suo bene.
Ma cosa vuol dire fare il suo bene?
Per molti vuol dire non farlo soffrire, proteggerlo, spalleggiarlo. Io non sono d'accordo. Fare il suo bene vuol dire prepararlo al meglio alla vita. E la vita, si sa, spesso è ingiusta e ti prende a calci. Devi essere forte per affrontare la vita. Un giorno noi non saremo più lì a proteggere, evitargli le sofferenze e spalleggiare, quindi è bene possano accusare e superare i colpi.
Questo non vuol dire essere dei tiranni o non amarli. Vuol dire permettere loro di affrontare le piccole difficoltà che ogni età della crescita presenta, senza scusarli troppo, senza evitargliele. Questo è un allenamento per le grandi difficoltà che potranno incontrare.
Ogni volta che ci sostituiamo a loro, non facciamo il loro bene. Ogni volta che lasciamo correre, non facciamo il loro bene.
Certo non è facile perché inevitabilmente stiamo male al pensiero di farli piangere (magari perché li sgridiamo o peggio se li lasciamo a scuola), ma contiamo più noi o loro? Purtroppo molti genitori oggi pensano più a se stessi che al bene dei bambini, insomma non sono più disposti a star male per i loro figli.
Già perché è più facile lasciar correre che educare.
Una scena per tutte: pizzeria, bimbi che scorrazzano disturbando, genitori tranquillamente seduti al tavolo che se ne fregano... ora, un genitore che si assuma le sue responsabilità prende i bambini, li richiama e se loro non riescono (sono bambini ovviamente hanno bisogno di gioco) fa il loro bene, li prende e li porta a casa o in un ambiente più adatto. Otterrebbe due risultati. Il primo è che il bambino impara a rispettare le persone che non si conoscono, il secondo è che capirà che i suoi genitori vogliono che lui stia bene anche a rischio di concludere una serata in anticipo.
Oggi spacciamo per "bene del bambino" cose legate al nostro egoismo e alla nostra comodità.
E se volete degli esempi, ne ho a bizzeffe... dal genitore che accusa la scuola piuttosto che aiutare il figlio, quello che gli fa la cartella piuttosto che pretendere che la faccia da solo, quello che gli fa da ombra mentre gioca con gli amichetti perché ha il terrore che lo "mangino"... poi ci lamentiamo se di fronte alle botte della vita cadono in depressione e tentano il suicidio... boh chissà come mai?
Durante la malattia di Giuseppe e dopo la sua morte, mi son sentita dire cose che preferirei proprio non sentirmi dire. So che chi lo fa le dice non per offendere, ma con l'intento di aiutare o confortarmi, ma al contrario irritano o intristiscono. Il mio non è un giudizio, ma un invito a riflettere: pensate a chi state parlando. Questo post non è politicamente corretto, ma estremamente sincero. So che avere a che fare con me può non essere semplice, ma pensate mica che la mia vita sia semplice? So che di fronte a me molti sono in imbarazzo e in difficoltà nel non sapere che fare o che dire, ma è niente in confronto alle nostre difficoltà di ogni giorno. Io non penso di essere cattiva nello scrivere queste cose, voglio solo farvi capire cosa proviamo noi genitori che perdiamo un figlio. Ogni dolore è diverso e ha una sua dignità e forse in queste cose ci si trova anche qualcun altro, ma sicuramente mi ci trovo io ogni giorno. Poi ammetto che alcune cose le accetto da chi mi è vi
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