Ultima ora a scuola, classe prima. "Prof. Ma perché il trattore la rappresenta? Ci hanno detto che ne ha uno tatuato, è vero?"
Certamente non entro in classe dicendo "oh ragazzi! Ho perso un figlio!". Ma di fronte alle domande non posso che rispondere. Non mi piace fare la preziosa.. e in fondo non fa parte del mio carattere.
E così racconti cosa vuol dire quel trattore con la G sul collo.
Silenzio.
Una mano alzata.
"Prof. Io ho perso la mamma di tumore!"
Inizia così un dialogo e un confronto sul dolore di ognuno di loro. Tutti vogliono raccontare i loro momenti di tristezza. Alcuni con le lacrime... altri meno. Da oggi credo che quella classe sarà più unita. Certo non ho fatto lezione... ma oggi ho imparato. Un prof deve fare anche quello.
Quando è morto Giuseppe, le persone che mi circondavano erano addolorate o nel dolore con me. Il mio dolore era riconosciuto, accettato, condiviso dalle persone vicino a me. Chi mi incontrava non si aspettava che io sorridessi, tutti coloro che avevo intorno conoscevano la mia storia, se sorridevo era un sorriso sincero… magari triste perché il dolore era vivo, recente, ma non esisteva il sorriso di circostanza. Con orgoglio e forza, forse anche un po’ di rabbia, non mi curavo di “nascondere” la morte di Giuseppe. A chi mi chiedeva “ come stai ?” Rispondevo con la verità disarmante, lasciando senza parole. “ Il mio dolore non è nulla confronto al loro disagio ”. Questo pensavo e questo penso tutt’ora. Il mio dolore però era considerato legittimo perché era passato poco tempo dalla morte di Giuseppe. Negli occhi delle persone poteva esserci disagio, ma spesso anche affetto ed empatia. Chi aveva vissuto con noi la malattia e la morte di Giuseppe si era messo in pausa per noi, av
sei meravigliosa
RispondiEliminaGrazie Cristina... ❤
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