Tempo fa accompagnai una persona da Franco (per chi non lo sapesse è un uomo speciale che ha un rapporto speciale con Dio, a cui la gente spesso va a chiedere aiuto). Mentre attendevo in disparte poiché non mi interessava "passare" venne a sedersi vicino a me una donna che continuava a piangere disperata. Mi chiese se questo Franco fosse speciale come dicono. Io mi trovai in imbarazzo, le dissi che molti riferivano di essere stati aiutati da lui e le chiesi cosa cercasse. Mi disse che cercava pace, che cercava risposte perché la sua unica figlia era morta. Io ero per lei una sconosciuta, eppure lei si aprì in modo così totale. A quel tempo non ero madre e non sapevo che la vita mi avrebbe riservato lo stesso destino. Volevo consolarlo, dirle qualcosa che potesse aiutarla ad affrontare quel grande dolore, uno scopo nuovo per vivere. Le chiesi di raccontarmi di sua figlia. Mi disse che era bella, solare e impegnata ad aiutare, se non ricordo male i bambini. All'udire quelle parole le dissi "beh, perché non porta avanti l'impegno di sua figlia". Nella mia testa mi sembrava di aver detto una banalità, invece quello madre mi ringraziò. Poco dopo la chiamarono per "passare". Non la vidi mai più. Non conosco neanche il suo nome, spero abbia trovato un nuovo motivo per vivere...
Ripensandoci oggi, avendo vissuto quello stesso dolore io stessa, penso di averle detto l'unica cosa sensata che potevo dirle... quella di far rivivere sua figlia in quello che amava.
In fondo è quello che faccio io con Giuseppe.
Quando è morto Giuseppe, le persone che mi circondavano erano addolorate o nel dolore con me. Il mio dolore era riconosciuto, accettato, condiviso dalle persone vicino a me. Chi mi incontrava non si aspettava che io sorridessi, tutti coloro che avevo intorno conoscevano la mia storia, se sorridevo era un sorriso sincero… magari triste perché il dolore era vivo, recente, ma non esisteva il sorriso di circostanza. Con orgoglio e forza, forse anche un po’ di rabbia, non mi curavo di “nascondere” la morte di Giuseppe. A chi mi chiedeva “ come stai ?” Rispondevo con la verità disarmante, lasciando senza parole. “ Il mio dolore non è nulla confronto al loro disagio ”. Questo pensavo e questo penso tutt’ora. Il mio dolore però era considerato legittimo perché era passato poco tempo dalla morte di Giuseppe. Negli occhi delle persone poteva esserci disagio, ma spesso anche affetto ed empatia. Chi aveva vissuto con noi la malattia e la morte di Giuseppe si era messo in pausa per noi, av
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